di Francesca Mugnai

Gli Interventi assistiti con gli animali (IAA), comunemente chiamati pet therapy, sono sempre più una realtà riconosciuta anche in ambito clinico e ospedaliero, anche grazie – senza falsa modestia – al percorso che Antropozoa con l’AOU Meyer di Firenze e il sostegno della Fondazione Meyer stanno portando avanti da quasi 25 anni ormai e che ha scritto le basi di questa disciplina in Italia.

Ma un luogo di cura non è un posto come gli altri. Ci vuole competenza, esperienza, formazione. Nessuna improvvisazione né dell’operatore umano né tantomeno di quello a 4 zampe. Non basta che il cane sia “buono” e “carino” per essere un compagno terapeutico efficace. E non basta una cane impiegato nella pet therapy per fare un buon lavoro: ogni ambiente sanitario ha esigenze specifiche, così come ogni cane ha le sue inclinazioni, la sua taglia e la sua “vocazione”. Senza dimenticare che molto dipende anche dal binomio con il conduttore e dagli obiettivi del percorso terapeuticoe dall’equipè messa in campo.
Non è il cane a doversi adattare ovunque, ma è il percorso terapeutico a dover essere calibrato sul contesto e sulle caratteristiche del nostro collega a quattro zampe.

Negli ospedali, specialmente nei reparti pediatrici, oncologici o di lungodegenza, è fondamentale lavorare con cani estremamente equilibrati, che abbiano un’alta soglia di tolleranza a rumori, odori forti, dispositivi medici e – non dimentichiamolo – emozioni molto intense, inattese inaspettate e non controllabili, appunto!
I cani ideali, per modo di dire, per questo ambiente sono di taglia media, calmi, empatici, silenziosi, ma allo stesso tempo reattivi e tanto collaborativi. Devono amare il contatto fisico, ma senza essere invadenti. Kia, il nostro flat, è particolarmente adatta a questi reparti, così come coadiuvante per terapie che puntano al recupero psicomotorio.

Nella psichiatria, ci sono rumori e movimenti che non tutti i cani possono accogliere in maniera positiva. La loro reazione a qualcosa di diverso rispetto al tradizionale può non essere adatta al contesto in cui si trovano, sia per il benessere del paziente, sia per il benessere dell’animale stesso.
Nina, labrador nero, lavora da tempo in psichiatria grazie alla sua fisicità che dà tranquillità, ma anche al carattere: è attenta, entra in relazione in maniera precisa senza tante ambiguità.

Di fronte ai disturbi dell’alimentazione, c’è bisogno di una corporeità importante, per permettere di sviluppare una tensorialità diversa dalla nostra, forte, morbida, vitale. Il movimento, il contatto fisico e la relazione emotiva con l’animale possono contribuire a ristrutturare un’immagine corporea più positiva e realistica di sé. In questo Sofia è bravissima: labrador nero dalla grande dolcezza, è capace di dedicare tempo, di applicarsi in esercizi diversi e riesce in maniera naturale a creare situazioni di calma.

Sul fronte della riabilitazione emotiva e motoria, Cecco – meticcio marrone – ha un dinamismo e una intraprendenza che lo rende adatto a lavorare nei reparti dove questi aspetti sono così fondamentali. Coinvolge emotivamente e fisicamente.
Negli ambulatori, ma anche nei reparti in cui il paziente è allettato, entra in gioco il fattore stazza: un cane piccolo, morbido, calmo, può stare accanto o addirittura sulle gambe del paziente che, accarezzandolo, si rilassa ed più collaborativo, oltre a sentire meno il dolore.

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