di Francesca Mugnai

Il trauma non è solo un ricordo doloroso, ma un’esperienza che resta nel corpo, nelle emozioni e nella memoria più profonda. Chi vive uno shock, un lutto, una violenza o una forte trascuratezza perde – spesso senza accorgersene – il senso di controllo su se stesso: il corpo reagisce prima della mente e questa fatica a dare significato a ciò che accade.
Negli ultimi decenni le neuroscienze, la psicologia dello sviluppo e la neurobiologia interpersonale ci hanno mostrato quanto il trauma agisca sulle radici della sicurezza: la capacità di restare presenti, di sentire senza esserne travolti, di fidarsi delle relazioni.

Il corpo ricorda

Il ricordo traumatico non funziona come una memoria normale: non è un film che possiamo rivedere e mettere in pausa, ma una risposta di allarme che si riattiva quando il sistema nervoso percepisce (anche solo a livello implicito) un pericolo. Come spiega Stephen Porges nella teoria polivagale, dopo un trauma, spesso “restiamo bloccati” nei primi due stati.
Per questo, prima ancora di parlare, serve imparare a stare nel corpo con sicurezza: respirare, sentire le sensazioni, riconoscere le emozioni senza giudizio. È la base di ogni percorso di cura.

Il ruolo degli animali nella ricostruzione della sicurezza

La relazione con l’animale, se guidata da professionisti formati, diventa uno spazio protetto dove l’altro non giudica, non interpreta, non mette fretta, il contatto è reale e immediato, i sistemi emotivi primari (paura, gioia, tristezza, sorpresa) si attivano in modo regolato, la mente può allenarsi a osservare, ascoltare, aspettare.
L’animale facilita empatia, mentalizzazione e senso di efficacia personale: elementi fondamentali quando il trauma ha eroso fiducia, autonomia e percezione di sé.

Biofilia e attaccamento: perché funziona

La teoria della biofilia ci ricorda che l’essere umano è biologicamente predisposto a cercare connessione con altre forme di vita. In più gli animali possono fungere da ponte relazionale: non sostituiscono l’umano, ma rendono più accessibili il contatto, il linguaggio emotivo e il senso di appartenenza.
Nel lavoro con bambini, adolescenti e giovani adulti colpiti da stress post-traumatico, abbiamo constatato più volte come il cane, il cavallo o altri animali diventino co-terapeuti silenziosi: facilitano il radicamento, stimolano curiosità, suscitano emozioni che si possono finalmente nominare, osservare e integrare.

Natura, mindfulness e relazione

L’ambiente non è solo uno sfondo, ma un elemento terapeutico. Muoversi in un contesto naturale insieme all’animale favorisce regolazione emotiva e presenza mentale: si osserva, si respira, si rallenta. La mindfulness – “essere nel momento presente in modo aperto e non giudicante” – è una qualità innata negli animali e una competenza che le persone possono riattivare attraverso di loro.

Dalla frammentazione alla cura

Il percorso di guarigione dal trauma non è immediato né lineare, ma si costruisce attraverso tre fasi fondamentali: la stabilizzazione e coregolazione, l’elaborazione dell’esperienza e l’integrazione e riabilitazione.
Lavorare con gli animali rende più accessibile ogni passaggio, proprio perché la relazione con loro è concreta, reciproca e libera da aspettative. L’animale accoglie, risponde, si fida. E questa esperienza – semplice, eppur potentissima – crea nuove memorie emotive e permette alla persona di ricostruire la propria “self-leadership”, come direbbe Van der Kolk: la sensazione di essere di nuovo padroni del proprio corpo, della propria mente e della propria storia.

Una terapia antica, uno sguardo nuovo

Pet therapy e interventi nella natura non sono alternative alla psicoterapia, ma strumenti integrati che valorizzano ciò che l’essere umano ha sempre saputo: è nelle relazioni autentiche, nei gesti semplici e nei legami vivi che si trova la strada della guarigione.
Talvolta il primo passo verso una nuova fiducia comincia con uno sguardo, un respiro condiviso o una zampa tesa verso di noi.

 

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