di Francesca Mugnai
Negli interventi assistiti con gli animali è necessario alleggerire. Ridurre per dare senso, togliere per far emergere ciò che conta davvero. In questo momento storico ne siamo davvero convinti
Sempre più spesso, invece, assistiamo a esperienze di pet therapy poco efficaci, poco scientifiche, approssimate, che poco hanno a che fare con l’etica della cura e del rispetto in generale. A questa disciplina viene aggiunto “troppo”: troppi cani, talvolta inadeguati; troppa improvvisazione; troppa fantasia al posto del metodo; troppo poco rigore. Una sorta di abbuffata di eccessi che finisce per oscurare l’essenza stessa del lavoro e inevitabilmente la sua efficacia. Una bulimia di improvvisazione che nuoce. A chi? A tutti i protagonisti e alla serietà della materia: chi come noi l’ha vista nascere, lo riconosce come un serio rischio.
La forza degli interventi assistiti non sta nel sovraccarico, ma nella chiarezza. Queste attività funzionano grazie al metodo, all’esperienza, ma anche alla semplicità, alla linearità e profonda leggerezza che la relazione con l’animale evoca e stimola.
L’essenziale è fatto di pochi elementi: l’animale, l’équipe professionale, il paziente. Tutto il resto rischia di essere solo superfluo. Le sperimentazioni prive di guida ed esperienza diventano azzardi, perché la presenza di un animale non è mai neutra: genera sempre un cambiamento, un movimento anche retroattivo. Involutivo.
Paul Watzlawick, nel suo primo assioma della comunicazione, ci ricorda che “non si può non comunicare”. Lo stesso vale per l’animale: comunica sempre. Attiva processi, suscita emozioni, stimola reazioni. A volte sono positive, a volte no. Devono essere accolte, comprese e, se necessario, contenute. Sempre
Anche la proliferazione di corsi formativi rientra in questo “troppo”: percorsi rapidi, superficiali, che insegnano nozioni astratte senza offrire strumenti per il setting reale. Formazioni che restano sulla teoria e non preparano al lavoro concreto: così diventano inutili e talvolta dannose.
La pet therapy non è un palcoscenico dove esibire forza o ambizione. È un incontro. È mettersi accanto all’animale, costruendo con lui presenza e cura. È, in fondo, un esercizio di misura, di ritorno all’essenziale.
Come suggerisce Theodor Adorno nel titolo di un suo celebre testo, serve tornare alle “Minima e moralia”: a ciò che è minimo, ma fondamentale, semplice, ma autentico. Solo così gli interventi assistiti con gli animali potranno esprimere davvero il loro valore.